La scelta di pubblicare e comunicare la propria ricerca secondo i principi della scienza aperta

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Alcuni ricercatori ritengono la pubblicazione ad accesso aperto e più in generale l’open science un valore da perseguire e coltivare, indipendentemente dal riconoscimento che può venirne in termini di carriera. (Ovviamente il riconoscimento arriva perché la propria ricerca è più trasperente e riproducibile, ma lo scopo non è fare carriera bensì permettere alla propria comunità di ripercorrere il processo di generazione di una ricerca per poterlo validare o replicare).

In una news pubblicata sul sito dell’università di Lovanio, Toma Susi, professore presso l’università di Vienna e membro dello steering board di COARA , spiega che i suoi lavori scientifici sono per il 95% ad accesso aperto e che con il proprio gruppo di ricerca ha sempre cercato di mettere a disposizione della comunità scientifica anche i dati della ricerca attraverso repository ad accesso aperto.

Sulla scelta di rendere aperti e accessibili i risultati del proprio lavoro il ricercatore commenta:

“There’s not a day in my professional career where my salary hasn’t been directly or indirectly paid by public funds,” he says. “All that money is taxpayer money, and so there’s a very clear argument for the public that pays for the work to also be able to access the work. If an article is not Open Access, readers face huge barriers in accessing that research.”

e aggiunge:

“What is the point of publishing?” Susi asks. “It’s to let other scientists know about your work so they can build upon it. It makes obvious sense that if that work is openly available, this whole process is easier.”

Certamente, come espresso in maniera provocatoria in un contributo alla Open science conference di Parigi nel 2022 l’open science non viene riconosciuta come un valore nelle procedure di reclutamento (in Italia come all’estero dove si ritiene più obiettivo basarsi su indicatori quantitativi), e certamente l’open science non ha bisogno di martiri ma di una riforma che ponga al centro valori come la condivisione e la pubblicazione dei metodi, dei dati e dei testi delle ricerche ad esempio in forma di preprint.

Susi definisce l’uso delle metriche basate sui journal come non scientifico, anche se ampiamente in voga ad esempio anche nella selezione delle sedi dove pubblicare.

Non si richiede ai più giovani di sacrificarsi e li si invita al pragmatismo, e tuttavia:

“It is a very good time for young people to start to ask themselves: ‘Okay, how am I contributing to Open Science? How will this look on my CV when I’m evaluated in a few years’ time?’ Because we are moving towards a world in which Open Science will become more and more important.”

E’ da questa consapevolezza dell’importanza sempre maggiore della scienza aperta che arriva la raccomandazione ai colleghi più senior, alle commissioni di reclutamento o di valutazione di staccarsi da criteri meramente quantitativi o legati alla sede di pubblicazione e di concentrarsi molto di più sull’effettivo contributo dei candidati alla propria disciplina.

Ai ricercatori invece suggerisce evitare pratiche di pubblicazione seriale volte solo ad aggiungere righe sul proprio CV:

“If what gets you ahead in the current system is publishing as many papers as quickly as possible, rather than slowly and carefully publishing your methods and data, that’s not good for science.”