Lo scorso anno la Commissione Open science ha organizzato una serie di incontri dal titolo Può ancora esistere una buona comunicazione scientifica? Il primo degli incontri è stato con Paolo Crosetto, uno dei coautori di una pubblicazione che ha fatto discutere molto The strain of scientific publishing già a partire dal preprint caricato su Arxiv.
La documentazione e le analisi connesse a questa pubblicazione sono disponibili su github. Il tema di fondo è quello della pressione per pubblicare (publish or perish) causata da sistemi di valutazione che privilegiano la quantità rispetto alla qualità, e che generano comportamenti adattativi nelle comunità scientifiche ma anche negli editori.
In particolare si osserva la crescita in termini di volume di pubblicazioni (ma anche di indici bibliometrici) dell’editore MDPI anche come conseguenza della sovrapproduzione di special issues.
Uno special issue ha normalmente uno special editor che cura la parte di validazione (peer review) in modo autonomo e indipendentemente dalla rivista base.
Le critiche sono rispetto al numero di questi special issue che è lievitato negli anni, alla loro significatività, e in effetti anche ai costi. MDPI è un editore interamente open access per cui per avere un lavoro pubblicato, dopo la accettazione all’autore viene chiesto di pagare una APC il cui costo è molto cresciuto nel corso degli anni.
MDPI è fra i cinque o sei editori più grandi per volume di pubblicazioni e l’unico interamente open access.
Questa crescita nel volume di articoli pubblicati soprattutto attraverso special issue, accompagnata da atteggiamenti molto aggressivi da parte degli editori nei confronti dei revisori o dei nuovi autori e da una serie di analisi fatte sui report pubblici di revisione, ha fatto dubitare della qualità di ciò che viene pubblicato. Alcune misure sono state prese: DOAJ per esempio non include più journal che abbiano una percentuale di special issue maggiore del 25% rispetto al numero di fascicoli della rivista base; WOS ha delistato un paio delle maggiori riviste e JUFO, un sistema di classificazione norvegese delle pubblicazioni scientifiche ha espunto dalle proprie liste le riviste MDPI.
E’ di qualche giorno fa la pubblicazione da parte dello stesso gruppo di coautori di un breve post dal titolo Springer Nature Discovers MDPI in cui si evidenzia come il modello MDPI abbia fatto scuola e ispirato il gruppo Springer Nature.
Ci si riferisce alla nuova linea Discover che prevede una serie di riviste in tutti gli ambiti disciplinari (66 in tutto). Il post confronta i titoli evidenziando come i titoli di Discover ricordino in molti casi quelli di MDPI (quando non sono esattamente uguali), differendo per una parola o per il genere (sigolare vs. plurale). Questa è in effetti una prassi tipica dell’editoria predatoria. Il post confronta inoltre i costi che in questa fase iniziale sono inferiori per il brand di Springer Nature rispetto a MDPI.
Discover non ha ancora inaugurato (come MDPI) la propria serie di Special issues, ma uno degli autori del post è già stato invitato come special editor.
Ecco le raccomandazioni degli autori a se stessi e alle comunità scientifiche:
Rivolgersi ad editori not for profit (come ad esempio Peer community in che applica il modello Publish review curate e non fa pagare per la pubblicazione nel Peer community journal)
Non pubblicare né prestarsi a fare da editor per queste riviste, insomma non supportare questo modello di business
Avviare una discussione con società scientifiche e con finanziatori sui temi di qualità e trasparenza e costi delle pubblicazioni scientifiche
e infine
Let’s stop falling for the same (in this case, literally the same) old tricks. Let’s stop wasting money on journals we do not need.