Il Giappone e noi

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In un recente articolo apparso fra le news di Nature si racconta della nuova strategia adottata dal Giappone per sostenere la ricerca scientifica del paese.

Il Ministero per la ricerca ha destinato l’equivalente di 63 milioni di dollari perché ogni università possa disporre di un repository istituzionale utilizzando il medesimo software. L’idea è quella di rendere obbligatorio – a partire dal 2025 – il deposito ad accesso aperto dei lavori di ricerca nei repository delle istituzioni, sostenendo in modo convinto una politica di green open access.

La scelta della green road è determinata dal fatto che il gold open access si è rivelato insostenibile, con le APC che aumentano in maniera incontrollata e incontrollabile da un anno con l’altro, andando ad alimentare quel 40% (ormai fisso) di profitti degli oligopoli della scienza e forti diseguaglianze fra le diverse regiuoni del mondo.

La scelta del Giappone sembra riportarci agli inizi del movimento per l’open access, quando si pensava che la green road avrebbe potuto essere la via più praticabile. Questa via era stata abbandonata perché poco seguita dai ricercatori, e forse anche poco sostenuta dai governi. La storia dell’open access ci ha insegnato però che il gold open access è insostenibile almeno tanto quanto il sistema degli abbonamenti e negli ultimi anni ci si è orientati verso il diamond o un ritorno al green.

Anche la Francia ha adottato una politica prevalentemente green e come il Giappone ha una unico archivio condiviso fra le istituzioni (il che permette di mettere in comune i record dei lavori in coautoraggio fra istituzioni diverse).

Ben prima del Giappone l’Italia ha adottato un unico strumento disponibile per tutte le istituzioni di ricerca (IRIS), ma non abbiamo, ad oggi, una politica decisa verso il green open access come Francia e Giappone (una politica implica anche il fatto che vengano destinati finanziamenti per un determinato scopo). Non abbiamo neppure una politica di sostegno per il diamond open access (come nei Paesi Bassi) e alla fine non abbiamo neppure gli strumenti per costruire una politica, perché mancano i dati necessari (come fatto in Gran Bretagna) per valutare quanto fatto fino ad ora e costruire azioni future.