La vicenda della rivista eLife, messa on hold da Clarivate per il workflow inconsueto nel vaglio dei contenuti, considerato inconsueto non nel merito ma proprio perché fuori dal mainstream, lascia molto perplessi per le motiviazioni.
L’editore si appella a questa regola
Coverage of journals/platforms in which publication is decoupled from validation by peer review
In pratica questa regola esclude dalla indicizzazione nel SCIE, SSCI o AHCI tutti quegli articoli che non rispondono al modello tradizionale (l’unico ritenuto accettabile dall’editore). Dopo un periodo di sospensione Clarivate (con quale autorità?) ha deciso di continuare ad indicizzare eLife (ma il regolamento sempra far pensare che la rivista sarà solo indicizzata in ESCI (Emerging sources citation index).
Journals that pass re-evaluation and are currently indexed in SCIE, SSCI or AHCI will be moved to ESCI with immediate effect
Questo significa che eLife non otterrà un IF al prossimo giro (giugno 2025).
Le preoccupazioni di Clarivate sono legate al fatto che non tutti gli articoli peer reviewed vengono poi pubblicati come version of record e l’editore teme che la banca dati possa essere inquinata da articoli di scarsa o nessuna qualità.
Data la situazione molto preoccupante della comunicazione scientifica (definita da Dorothy Bishop agghiacciante) ci si chiede se la stessa premura adottata da Clarivate nei confornti di eLife sia stata applicata anche alle 10000 e passa retraction dello scorso anno.
Questo però ci fa riflettere sul ruolo e l’utilità di database proprietari in un’epoca in cui le opportunità offerte sono molteplici, anche grazie alla interoperabilità dei sistemi di informazione aperti.
Nel 2024 è stata lanciata la Barcelona declaration on open research information che ha raccolto decine di sottoscrizioni in pochissimo tempo.
Strumenti come OpenAlex sono stati adottati in molte parti del mondo per descrivere e analizzare la ricerca scientifica. In una bella intervista pubblicata sul sito della università di Utrecht Jeroen Bosman (uno dei promotori della Dichiarazione di Barcellona) sottolinea i vantaggi offerti da strumenti di informazione sulla ricerca aperti, prendendo l’esempio di Open Alex. Di Open Alex si sottolinea l’inclusività dal punto di vista linguistico, geografico, ma anche delle tipologie di lavori indicizzati (articoli, ma anche capitoli di libro o monografie).
Open Alex è alimentato da Crossref attraverso metadati che sono pubblici (inclusi gli abstracts). Coloro che fanno ricerche sulla ricerca hanno a disposizione un database aperto i cui dati sono esponibili perché non proprietari e licenziati con CC0 (si pensi al ranking di Leiden che utilizza dal 2024 i dati di Open Alex mettendo il dataset a disposizione di tutti in modo che sia riproducibile).
Open Alex non è un database perfetto, ma evolve in maniera molto rapida e i meccanismi di correzione sono molto veloci. Allo stato attuale è uno strumento di analisi della ricerca potentissimo, proprio per la inclusività, per la apertura a tutti (che permette l’attivazione di meccanismi di correzione quasi in tempo reale).
Alla domanda se e quando strumenti come Open Alex sostituiranno i costosi database proprietari non è facile rispondere ora, ma le comunità scientifiche e le istituzioni firmatarie della Barcelona Declaration possono avere un ruolo decisivo per questo passaggio.
Concludiamo con le parole di Bosman che risponde all’ultima domanda dell’intervista sopra citata:
Can we speak of idealism in the case of Open Alex?
Oh yes, the people who work there have a clear conviction about the importance of their work. Besides, OpenAlex offers equal opportunities to all scientific output, regardless of language or format. It has committed to certain principles of open data infrastructure. To that purpose it has built-in safeguards. What is open now, will remain open in the future.