Un articolo pubblicato sul Guardian fa il punto sulla situazione della letteratura scientifica, i problemi che la affliggono e le cause che conducono alla pubblicazione di articoli poco significativi o scritti e revisionati da sistemi di AI, o pubblicati senza alcun processo di validazione.
I punti critici che emergono sono quelli di un sistema che privilegia la quantità rispetto alla qualità (publish or perish), per cui il numero di pubblicazioni è aumentato negli ultimi anni in maniera esponenziale. La tecnologia ha aiutato questo tipo di sviluppo verso la quantità, e gli editori ne hanno spesso approfittato. L’aumento delle pubblicazioni richiede anche un aumento dei peer reviewer disponibili a validare le ricerche sottomesse alle riviste, peer reviewer che sono loro stessi autori e sottoposti alla pressione per pubblicare.
Si è provato a calcolare il tempo impiegato per le peer review dai ricercatori e il costo di questo tempo, arrivando a definire per il 2020 100 milioni di ore di lavoro svolto gratuitamente dai revisori degli articoli scientifici.
Lo scorso anno Hanson et al. hanno pubblicato un articolo sulla pressione per pubblicare che mette in risalto i problemi di un sistema che punta sulla qualità faticando ormai a garantire la qualità e cerca di evidenziarne le cause.
Il lavoro è stato presentato anche in un lungo incontro che si è tenuto presso l’Università di Milano e che faceva parte di una serie dedicata al tema della comunicazione scientifica .
Fra i punti critici sottolineati dall’articolo sul Guardian ci sono l’enfasi posta dagli enti finanziatori sull’open access che gli editori commerciali hanno trasformato in affare molto redditizio cancellando la spinta etica verso trasparenza, acessibilità, democraticità e uguaglianza che era alla base del movimento dell’open access nato proprio per contrastare una editoria elitaria, focalizzata esclusivamente sul profitto.
Altri elementi problematici sottolineati dall’articolo sono la iperproduzione di special issues, un problema che è emerso con l’editore MDPI, il cui esempio è però stato seguito da altri editori e che ha portato alcuni enti finanziatori a porre un freno alla pubblicazione negli special issues.
La stessa Directory of Open Access Journals ha definito criteri specifici per la inclusione di riviste che pubblicano special issues.
Altri temi trattati dall’articolo sono la crescita dei predatory journals (intesi con ampia accezione), l’uso della AI per la stesura e anche revisione degli articoli che porta alla pubblicazione di articoli senza senso.
Nella crescita del numero di pubblicazioni emergono intanto altri sistemi della ricerca, come la Cina, affetta anch’essa da problemi di risposta adattativa dei propri ricercatori agli incentivi.
Non si tratta solo di pubblicare ricerche condotte onestamente, sostiene Hanson, ma anche di evitare di pubblicare ricerche inutili, che non portano nulla di nuovo, che sono un costo per il sistema sia in termini di soldi che di tempo speso da tutte le persone coinvolte nella filiera della pubblicazione.
Molti sono i punti critici sollevati e le evidenze su cui istituzioni, enti finanziatori, agenzie di valutazione e ricercatori dovrebbero avviare una riflessione seria.


