Preprints are here to stay

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Un recente articolo pubblicato sul blog Scholarly kitchen mi ha incuriosito per via del titolo, Preprints Serve the Anti-science Agenda – This Is Why We Need Peer Review. Devo dire che in questo blog che si occupa di comunicazione scientifica in maniera conservatrice (l’idea è che la comunicazione scientifica funziona benissimo e che qualsiasi modifica o innovazione la corrompe), mi è capitato molto raramente di leggere articoli interessanti o minimamente informativi, ma ho trovato questo articolo particolarmente sbagliato.

Le argomentazioni portate contro i preprint riguardano la mancanza di peer review, il fatto che i non esperti potrebbero usarli in maniera irresponsabile, diffondendo come vere informazioni non validate.

L’intenzione è quella di difendere la peer review (naturalmente quella double blind organizzata da un editor) come il gold standard. Il primo errore che l’autore fa è quello di paragonare i preprint a un blog (come Scholarly kitchen o come Reddit) dove quasi chiunque, purché loggato, può dire cosa pensa.

A parte il fatto che in calce ad ogni articolo di BioRxiv o MedRxiv (citati come se fossero gli unici server di preprint) troviamo la scritta This article is a preprint and has not been certified by peer review con un link ad una lunga spiegazione su cosa ciò significhi, a parte il fatto che quando si cita un articolo nella forma di preprint si usa un DOI che è quello del preprint e non quello della versione pubblicata, a parte il fatto che ci sono intere comunità che da sempre lavorano esclusivamente con i preprint (si pensi ai fisici), l’autore sembra affiancare la peer review dei preprint ai commenti su un blog (ad esempio Scholarly kitchen o su Reddit).

E siccome i commenti nei server di preprint sono pochi, si usa questo argomento a sostegno della ascientificità e inutilità (o peggio dannosità) di questo tipo di pubblicazione.

In realtà i commenti ai preprint (prevalentemente sui social) ci sono solo quando un articolo risulta particolarmente sbagliato (come nel caso di questo preprint

oggetto di retraction).
La peer review dei preprint non avviene attraverso i commenti come sembra denunciare l’autore dell’articolo, ma in maniera sistematica in iniziative come Peer Community In, in riviste come Discrete analysis, in progetti formativi come quello del Fraser Lab dove i preprint (proprio di BioRxiv) vengono revisionati da un ricercatore senior che affianca uno o più ricercatori più giovani, in piattaforme come Open research Europe, o secondo nuovi modelli come quello proposto da Elife. Di tutto questo non c’è minimamente traccia nell’articolo che dà dei preprint una visione del tutto parziale.

Per fortuna qualche commentatore ha portato argomentazioni interessanti (uno dei casi in cui i commenti denigrati dall’autore sono utili) a questo pezzo disinformato, ad esempio articoli in cui si confrontano i contenuti di preprint e delle version of records (dopo la peer review quindi) individuando in molti casi modifiche minime, o il riferimento al modello Publish Review Curate, o a iniziative tipo Prereview.

Il sito ASAPbio fornisce una serie di informazioni utili a chi si affaccia al mondo dei preprint e a un modello di circolazione della comunicazione scientifica più trasparente e che favorisca la discussione non fra due o tre revisori scelti dall’editor ma con tutta la comunità scientifica.

Il modello Publish Review Curate si affianca ormai a quello tradizionale Review Then Publish e demonizzarlo (con argomentazioni inconsistenti) è piuttosto inutile. Non si può dire con certezza se un modello sia migliore dell’altro, probabilmente dipende dagli ambiti disciplinari e dalle scelte che faranno le diverse comunità scientifiche.