Has the open access movement failed?

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Mike Taylor e Jessika Polka si sono affrontati in una discussione in chiusura del meeting annuale della Society for scholarly publishing. Entrambi avevano dieci minuti per sostenere i propri argomenti sul movimento dell’accesso aperto.

Mike Taylor ha affermato che il movimento dell’accesso aperto ha fallito, Jessika Polka ha sostenuto invece il contrario.

Taylor ha citato tutte le volte che il movimento per l’accesso aperto ha fallito:

E’ fallita la Subversive proposal di Steven Harnad che prevedeva uno sviluppo distribuito dei repository istituzionali (a            quel tempo con il software eprints) che avrebbero potuto contentere ad accesso aperto tutte le ricerche svolte nelle istituzioni.

E’ fallita la proposta di Varmus di E-Biomed, una sorta di precursore del diamond open access specifico per le scienze biomediche, che ha trovato la fortissima opposizione delle società scientifiche.

E’ fallita la Budapest open access initiative, per via della totale inerzia delle istituzioni che la hanno appoggiata e sottoscritta, insieme ad essa si sono bloccate la Public library of science e la iniziativa di Tim Gowers The cost of Knowledge che prevedeva il boicottaggio degli editori oligopolisti (nello specifico Elsevier).

E’ fallita la iniziativa di Coalition S (Plan S)che voleva una trasformazione “cost neutral” (cioè senza costi aggiuntivi)  del sistema delle pubblicazioni scientifiche da pay par read a pay per publish

Taylor commenta questi fallimenti:

Every one of them has failed. And they have failed, mostly, because of opposition, obstruction and short-term opportunism on the part of publishers who have exchanged their original mission for shareholder value optimization.

E si chiede alla fine a quanti ulteriori fallimenti dovremo assistere prima di vedere un successo.

E se questo successo avverrà con gli editori o nonostante gli editori.

Jessika Polka nella sua risposta  dà una visione molto più positiva di quello che potremmo descrivere come un percorso a ostacoli, con frenate e accelerazioni, un percorso di tentativi ed errori, in cui forse finanziatori della ricerca, coalizioni e governi non sono stati sufficientemente incisivi nella definizione delle loro politiche.

Dove ciò è avvenuto (come in Sud America con Scielo e con Amelica), l’open access ha trionfato.

Il memorandum di Alondra Nelson del 2022 e il documento del Consiglio d’Europa  del 2023 mirano a far virare più decisamente le pratiche verso il diamond open access o il green.

I costi per le APC sono aumentati del 50% fra il 2010 e il 2019 e sono destinate ad un aumento incontrollato, un po’ come è stato per il prezzo degli abbonamenti, e in pochi casi gli editori giustificano costi così alti e così in crescita. Del resto i profitti dell’editori scientifica toccano il 30% in molti casi.

La buona notizia è che si stanno sviluppando modelli alternativi a quello della pubblicazione tradizionale.

I preprint sono una valida alternativa, nonostante le perplessità di molte comunità disciplinari:

Yes, preprints, the financial incentives around open access, and other forms of open publishing do tip the balance away from gatekeeping and toward inclusion. This means that the rate of spurious knowledge available is going to increase.

However, it also lulls us out of a false sense of security in a system that NEVER was equipped to form a fool-proof defense against misinformation. For proof of that, you can look back to the Wakefield paper, or to the current papermill crisis.

L’open peer review può rappresentare una valida alternativa alla black box della peer review double blind, rendendo il processo di validazione delle ricerche non solo più trasparente ma anche oggetto di una discussione pubblica.

Lo sviluppo tecnologico e il ricorso a nuove forme di comunicazione della ricerca sembra indicare una luce in fondo al tunnel.