Un nutrito gruppo di esperti, studiosi delle tematiche connesse alla editoria scientifica e alla sua evoluzione, anche sulla scorta del caso di eLife, ha scritto un articolo in cui si declinano le caratteristiche di un database bibliografico all’epoca di un ecosistema della pubblicazione scientifica complesso e articolato.
Per prima cosa vediamo chi sono gli autori di questo articolo: abbiamo studiosi di scientometria, esperti di scientific publishing, editor di riviste scientifiche tradizionali (presso editori cosiddetti prestigiosi) che insieme all’intero board si sono dimessi, policy officer, coordinatori di iniziative internazionali come la Barcelona declaration. Il gruppo di autori parte dal riconoscimento che il sistema editoriale è diventato multiforme, che ci sono infrastrutture e processi interrelati che non fanno più capo ad un unico soggetto e che una parte significativa dei processi di pubblicazione e validazione avviene all’interno di infrastrutture pubbliche.
Le innovazioni nel sistema editoriale, stante lo stato attuale della editoria scientifica dovrebbero essere accolte con favore e non mortificate o punite.
Abbiamo visto nel corso di questi ultimi anni la nascita e lo sviluppo del modello Publish, Review, Curate, come tentativo di rendere più trasparenti e partecipati i processi di validazione delle ricerche. Questa modalità non piace ai grandi database bibliografici, per cui un modello innovativo come quello adottato da eLife non è stato riconosciuto sufficientemente in linea con il modello editoriale tradizionale. La rivista è stata “spostata” da Clarivate all’interno del database Emerging sources citation index, e da Scopus è stata indicizzata fra i preprint.
Chi valuta i valutatori?
Il modello e la scelta innovativa di eLife non è piaciuta a chi gestisce le due banche dati WOS e Scopus, ma è a questo punto che gli autori del nostro articolo si sono interrogati su quali sono le caratteristiche di un buon database bibliografico.
Il tema principale è quello della capacità di accogliere l’innovazione e non di sanzionarla: la flessibilità e la capacità di includere approcci e forme di pubblicazione diverse, il riconoscimento e la importanza dell’open peer review come segno di qualità, il coinvolgimento delle comunità di ricerca nelle decisioni e nella costruzione di questi database bibliografici.
Il quadro delineato dagli autori dell’articolo è molto diverso da quello esistente, che ha anche un impatto significativo sui sistemi di valutazione di molti Paesi. Tuttavia gli autori non descrivono il libro dei sogni. Ci sono già delle linee guida per la creazione di database nazionali aventi queste caratteristiche o tentativi di indicizzazione di preprint e di open peer review. Ci sono poi infrastrutture aperte come OpenAlex, a cui le comunità scientifiche possono partecipare. Siamo veramente ad un bivio e concordiamo con la conlcusione degli autori dell’articolo:
The future success of a bibliographic database will depend on its ability to work with the community to support innovation in scholarly communication