Recentemente Nature ha annunciato fra le news i risultati di una indagine su 36 journal segnalati in un preprint di Martìn-Martìn e Delgado Lopez Cozar. Una nuova forma di editoria predatoria poco virtuosa che si aggiunge a quella degli hijacked journals (di cui anche l’università di Milano, suo malgrado, è stata preda).
L’articolo originario individua questa nuova forma distorta di editoria scientifica in cui società non meglio identificate acquistano piccole riviste open access di buon livello, già indicizzate in Scopus o WOS, ne aumentano improvvisamente e in maniera sensibile (e ingiustificata) i costi, facendone diminuire invece la qualità, sia dal punto di vista dei contenuti che dal punto di vista della forma (DOI assegnati non attivi o rubati da altri editori).
Queste imprese vengono definite “journal snatchers”. I 36 journals individuati nel preprint allo stato attuale sono stati tutti delistati da Scopus, mentre Wos che ne indicizzava 17 ne ha per ora delistati 11.
Nature ha tentato invano di contattare la maggior parte delle imprese che hanno acquistato queste riviste, ma nella maggior parte dei casi o non ha ricevuto risposte o solo risposte vaghe.
Gestire una rivista è una attività laboriosa, ma la decisione di vendere una testata non può essere presa a cuor leggero, soprattutto se questa è un riferimento per piccole comunità o per comunità scientifiche locali.
Anche ad alcune riviste dell’Università di Milano è stato più volte proposto la acquisizione da parte di soggetti non meglio identificati, e nonostante l’offerta potesse essere interessante dal punto di vista economico la risposta degli editorial board senza alcun tipo di esitazione è sempre stata no.
Perché appunto non è solo questione di soldi.