La ricerca senza umiltà non è scienza, ma solo arroganza

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Così titola un bell’articolo pubblicato nei Quaderni delle Medical Humanities, scritto da Angelica Giambelluca.

“L’umiltà dovrebbe essere, insieme alla curiosità, motore principale della scienza che, invece, negli ultimi anni preferisce la popolarità al reale progresso scientifico, preferisce dispensare certezze, che nella scienza non esistono, invece di avanzare a piccoli passi”.

L’articolo raccoglie molte delle tematiche qui riportate nelle scorse settimane, dal fatto che la scienza procede per tentativi ed errori, che incertezza e fallimento fanno parte di questo processo, che i risultati negativi dovrebbero essere resi noti perché, appunto, risultati.

L’umiltà di cui parla l’autrice sta nella capacità dei ricercatori e della loro comunità disciplinare di accettare il fallimento, nel fatto di ammettere che un risultato potrebbe non essere definitivo e che quindi necessita ulteriori indagini. Un contesto (quello attuale) in cui solo i risultati positivi vengono premiati, in cui solo il numero conta (più citazioni, più pubblicazioni), è stato terreno fertile per lo svilupparsi di iniziative predatorie, o dei papermills,

“In tutto questo, la corsa sfrenata in nome del “publish or perish”, pubblica o muori, una vera epidemia che sta colpendo da anni la comunità scientifica internazionale, non può che infierire il colpo fatale al concetto di umiltà di cui stiamo parlando. La pressione a pubblicare frequentemente e su riviste ad alto impatto può portare a concentrarsi sulla quantità piuttosto che sulla qualità, incentivando i ricercatori a privilegiare i risultati positivi e le scoperte sensazionali rispetto all’umiltà intellettuale e alla trasparenza sui limiti del loro lavoro”.

I limiti di uno studio dovrebbero essere chiaramente esplicitati fin nell’abstract in maniera chiara e trasparente, e non nascosti, e questo atteggiamento dovrebbe essere insegnato agli studenti, ai dottorandi, ai post doc.

“Per formare una nuova generazione di scienziati, umili ma creativi, sarebbe utile mostrare sin dagli studi universitari i fallimenti, le false partenze e i percorsi accidentati che hanno caratterizzato molte delle più importanti scoperte scientifiche. Questo aiuterebbe a smantellare l’idea naïve della scienza come semplice raccolta metodica di dati incontestabili”.