Il numero delle citazioni ricevute da un articolo dovrebbe essere indice dell’interesse suscitato nella propria comunità scientifica, secondo il principio che più un articolo è citato maggiore è il suo significato all’interno di una determinata disciplina. Sul numero di citazioni si costruiscono indicatori come l’impact factor (per le riviste ) o l’indice h (per gli autori). Avere tante citazioni possibilmente a tanti articoli diversi rappresenta un elemento di prestigio e anche in qualche modo la chiave che apre le porte di finanziamenti e carriere (questo almento valeva fino a COARA e prima ancora alla San Francisco declaration). Ma come sempre quando una misura diviene lo scopo da raggiungere cessa di essere una buona misura e soprattutto attiva comportamenti opportunistici.
Un articolo apparso qualche giorno fa su Science ci descrive le diverse forme di un mercato che si è andato sviluppando in questi ultimi anni: quello delle citazioni. Le citazioni si possono comprare per incrementare i propri indici e questa cosa va a minare la fiducia che purtroppo ancora in molti hanno rispetto agli indicatori bibliometrici.
La compravendita di citazioni assume aspetti diversi e tutti preoccupanti: ci sono riviste che possono chiedere agli autori di citare articoli apparsi nella stessa rivista (coercive citations) ci sono le citazioni incluse in articoli generati dai paper mills che oltre a vendere ad esempio le posizioni nella stringa autori di un articolo inseriscono citazioni ad articoli specifici, ci sono una serie di manipolazioni che possono essere fatte ad esempio creando in Google scholar profili fittizi e pubblicazioni inventate che citano specifici articoli, ci sono compagnie che offrono “pacchetti di citazioni” a prezzi modici (ad esempio si possono comprare 50 citazioni per 100$).
Un problema di incentivi dunque che portano a comportamenti scorretti che potrebbero modificarsi se ai ricercatori non si chiedesse di accrescere in maniera significativa numero di pubblicazioni e numero di citazioni.