Gli hijacked journals rappresentano una forma particolarmente parassitaria di editoria predatoria.
Queste riviste open access riproducono fedelmente sito web, ISSN, comitato scientifico,, titolo di una rivista tradizionale e con buona fama, promettendo tempi rapidi di pubblicazione a costi non dichiarati.
L’iter per la dismissione di articoli pubblicati in queste riviste e delle riviste stesse è piuttosto lungo e complicato. Gli articoli pubblicati sono ovviamente di bassa qualità, non vengono revisionati da nessuno e proprio per questo spesso sono copiati.
Retraction watch, che manutiene una lista di queste riviste ha appena pubblicato un articolo in cui segnala come anche costosissime banche dati come Scopus (che si autodefinisce “comprehensive,” “curated,” and “enriched”) siano infestate da questi articoli (oltre 880 per l’ultimo journal esaminato: Community practitioner (qui il journal vero e qui il journal clonato).
Come ci si difende da situazioni di questo tipo? Da parte degli autori attraverso una maggiore attenzione nella scelta delle sedi editoriali, da parte delle istituzioni attraverso la creazione di strutture di supporto che possano aiutare i ricercatori nella analisi delle sedi editoriali.
Un discorso a parte va fatto invece sulle banche dati bibliometriche a pagamento che in questo momento non sembrano in grado di garantire il filtro di qualità che fanno pagare a caro prezzo.
E una ulteriore riflessione va fatta sugli incentivi che spingono i ricercatori verso una quantità di scarsa rilevanza (e in certi casi fraudolenta).