Un recente studio pubblicato su PLos Biology
Altre cause sono individuate nelle analisi statische inconsistenti, nella selezione mirata di solo alcuni dati (quelli positivi), e nell’uso di campioni troppo limitati.
Nature riporta brevemente i risultati di questo articolo e i commenti di alcune figure che lavorano da anni sul tema della research integrity.
Elizabeth Bik (investigatrice scientifica) e Ivan Oransky (co-fondatore del sito Retraction Watch) che riconoscono che in moltissimi casi la irriproducibilità è frutto di cattiva condotta scientifica, e Marcus Munafò co-fondatore di UK Reproducibility Network, iniziativa presente anche in altri Paesi (ad esempio il nostro) che ha lo scopo di formare i ricercatori nelle pratiche di open science, la condivisione di dati, codice e software, considerati fornamentali per la riproducibilità.
La formazione alla condivisione e alla collaborazione (qualcosa che si è riusciti a fare veramente solo in un periodo di grave emergenza sanitaria) è certamente un punto importante per la riproducibilità, ma fondamentale risulta la azione sistematica e coordinata di tutti gli attori dell’ecosistema della ricerca: finanziatori, istituzioni, ricercatori.