Sul pubblicare in medicina di Luca De Fiore

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Il sottotitolo del libro, pubblicato da Il pensiero scientifico editore, recita: impact factor, open access, peer review, predatory journals e altre creature misteriose.

Avrebbe potuto essere: sullo stato (deprecabile) della comunicazione scientifica in medicina.

Si parla in maniera molto critica di molte delle tematiche che troviamo su questo sito, aggiornate fino all’altro ieri praticamente (il libro è stato pubblicato ad aprile 2024).

Si parla di luci e ombre dell’oa, di riviste predatorie, di authorship e della loro compravendita attraverso i paper mills, si parla di review mills e di retractions, di tortured phrases e intelligenza artificiale, di preprint e di narcisismo bibliometrico.

Una ricerca, quella che dovrebbe essere rivolta a rispondere a esigenze reali riguardanti la salute delle persone, che invece è descritta come finalizzata agli avanzamenti di carriera e all’iperproduzione di ricerche spesso inutili o poco rilevanti per soddisfare un insensato sistema di valutazione basato su indici quantitativi.

“il publish or perish, le difficoltà della peer review ad agire da filtro di qualità, l’impossibilità degli indici citazionali di definire il reale valore dei contenuti, l’emergere dei predatory journal, la cattiva condotta, le falsificazioni, sono l’effetto di un sistema che non funziona e che dovrebbe essere  ripensato dalle sue fondamenta”.

Una ricerca che dovrebbe fare emergere anche gli aspetti critici o i risultati negativi e che invece sembre riportare solo risultati di indiscutibile, inequivocabile successo:

“Un documento di ricerca scientifica è un esercizio di retorica; cioè, l’articolo è progettato per persuadere o almeno trasmettere al lettore un particolare punto di vista. Quando si guarda sotto la superficie di quanto pubblicato, si troverà un documento nascosto che rivela la vera divergenza di opinioni tra gli autori sul significato degli stessi risultati da loro ottenuti. Sia per i lettori che per chi dirige una rivista le opinioni espresse in un articolo sono governate da forze che spesso non sono chiare a nessuno, forse nemmeno agli stessi autori. Chi decide cosa scrivere e perché? Questa domanda rimane senza risposta.” (R. Horton)

Alla fine di questa carrellata tutt’altro che edificante ci sono alcune proposte:

-Poche regole facili da seguire (regole che in Italia ci sono e che imporrebbero una cautela nella descrizione dei risultati raggiunti: termini come break-through, game-changer, miracle sarebbero da evitare)

-Meno ricerca ma utile e ben disegnata : qui si ritorna alle distorsioni portate dal publish or perish (che è esso stesso una distorsione) e alla necessiterebbe di fare meno ricerche asfittiche  privilegiando la qualità e le ricerche di ampio respiro, con sanzioni previste per chi pubblica con editori predatori (in senso lato).

-Più trasparenza nella ricerca: i risultati delle ricerche finanziate dovrebbero essere presentati su banche dati pubbliche

-Coinvolgere nel dibattito culturale tutti i protagonisti (compresi i medici di medicina generale e i cittadini). Un dibattito ampio e multidirezionale potrebbe  essere utile per determinare l’agenda della ricerca.

-Rendere le riviste scientifiche uno spazio per la discussione: la proposta interessante propone di rifunzionalizzare le riviste non più sede di pubblicazione di ricerche originali (che insieme a dati e metodi dovrebbero essere spostate su infrastrutture pubbliche) , ma sede di discussione con prespective e commenti.

-Ripartire da bambini e adolescenti: e quindi avviare la discussione sulle tematiche della salute fin dalle scuole. 

Forse utopie, ma anche linee di indirizzo che le istituzioni pubbliche dovrebbero prendere seriamente in considerazione.