Open science: dove volevamo arrivare e dove siamo arrivati

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Il movimento della scienza aperta, seguendo anche le raccomandazioni dell’UNESCO del 2021

will ‘serve to widen access to scientific knowledge for the benefit of science and society and (…) promote opportunities for innovation and participation in the creation of scientific knowledge and the sharing of its benefits(UNESCO, 2023).

Appare evidente che il punto qui non è pubblicare più lavori ad accesso aperto, o più dataset (apparentemente) FAIR. La auspicata apertura doveva servire ad alimentare e far crescere la diversità e la multi e interculturalità, doveva rappresentare un vantaggio per la società intera, e oggi, ripensando a dove si voleva arrivare e a quali forme ha assunto la scienza aperta Ismail Rafols e Fernanda Beigel hanno cominciato a riflettere sul fatto che l’open access e l’open science, nati con scopi nobili e etici, si sono sviluppati in un modo del tutto fallimentare (anche se a dire il vero prevedibile già da un po’), creando una forte tensione fra inclusione esclusione, e apertura e chiusura.

Partendo dall’open access, la colonizzazione di questa istanza da parte degli oligopoli della scienza e la creazione del modello in cui si paga per pubblicare ha rafforzato il potere degli editori commerciali, incrementando le disuguaglianze fra Paesi ricchi e Paesi poveri. I ricercatori che operano in istituzioni che possono pagare per pubblicare (qualsiasi sia il modello adottato, gold open access o ibrido) ottengono maggiore visibilità dei colleghi che non hanno questa possibilità, ma questo va contro il principio secondo il quale la ricerca deve essere diffusa e giudicata sulla base del suo valore e non sulla base della disponibilità economica di istituzioni e autori.

Rafols e Beigel sottolineano anche le contraddizioni degli enti finanziatori, che da un lato supportano iniziative virtuose come il diamond open access, ma dall’altro distribuiscono riconoscimenti e ricompense basandosi su un concetto di “eccellenza” che è saldamente nelle mani dell’editoria commerciale.

Platforms that show Latin American journals like SciELORedalyc and Latindex have made enormous efforts to increase visibility and impact. Although governmental agencies and public institutions sustain these regional platforms, which constitute the regional knowledge circuits, the academic evaluation defined by these same organisations looks down on these journals.

Anche iniziative importanti e globali come OpenAlex presentano problemi di inclusività legate al fatto che piattaforme nate con lo scopo di una maggiore inclusività spesso presentano forti limitazioni rispetto ai metadati utilizzati (ad esempio l’uso di indentificativi persistenti come il DOI).

Rendere disponibili online i lavori di ricerca (dati o pubblicazioni) non è sufficiente perché l’apertura va contestualizzata.

Come già visto in altri interventi su questo sito (ad es. qui e qui) , l’impressione di molti attivisti è che l’open science nelle mani di attori privati abbia perso le nobili finalità originarie di equità, inclusività e giustizia e debba quindi essere ripensata e che questo ripensamento debba andare nella direzione dei processi di scambio della conoscenza più che sullo sviluppo di piattaforme tecnologiche o sul conteggio dei risultati (pubblicazioni e dati).

In questo contesto l’editoria scientifica evolve molto rapidamente e quasi mai nella direzione auspicata, come frequentemente documentato in queste pagine.

A crisis of legitimacy emerges from the effects of commercial open access, and this deepens asymmetries but also places us in front of a potential opportunity.

Un ripensamento è quindi urgente e deve partire dalla consapevolezza che, nonostante le buone e nobili intenzioni iniziali, stiamo percorrendo la strada sbagliata.

*L’articolo di Rafols e Beigel pubblicato su Leidenmadtrics deriva da precedenti interventi dei due autori (qui e qui) molto informativi e ricchi di spunti e riferimenti.