C’è stato un tempo (nel 2022) in cui la RSC pensava di convertire ilsuo intero pacchetto di riviste in riviste ad accesso aperto.
Cambiano i tempi e cambiano le condizioni. Oggi è chiarissimo che la conversione auspicata da Ralf Schimmer nel 2015 e che ha dato l’avvio ai contratti trasformativi non avverrà mai e nel frattempo Schimmer è passato a Wiley.
Che questa transizione non sia avvenuta e non avverrà lo ha capito anche Coalition S che dal 2024 ha smesso di considerare eligibili per i propri finanziamenti le riviste ibride (trasformative o meno). Sia i contratti trasformativi che il modello pay per publish si sono rivelati fonti di guadagni insperati e a questo punto irrinunciabili per gli editori. E quindi ecco che con una falsa trasparenza RCS nelle sue news ci dice che siccome la taglia unica non esiste, è stato adottato un approccio per area geografica, perché non tutte le aree del mondo sono pronte per l’OA (che è un eufemismo per dire che in molte aree ci sono problemi a finanziarlo).
The resounding message we heard over and over is that one size cannot fit all: that while some regions are steaming ahead with fully OA, others are embracing their own ways to achieve openness and yet others are not yet ready for fully OA. It became clear that we needed to adapt our vision for openness to account for a landscape that is increasing in complexity and no longer coalescing around a single direction for open research.
I ripensamenti e le modifiche delle politiche sulla base di un mutato contesto sono del tutto naturali e anche comprensibili, tuttavia in questo mutato contesto non si parla mai di diamond open access (mentre ci sono intere parti del mondo che lo supportano), né di green open access e della possibilità di avere un testo ad accesso aperto in una versione diversa da quella definitiva (azione che per alcune nazioni europee è prevista per legge) senza ulteriori costi per gli autori o le loro istituzioni.
Del tutto a sorpresa (o forse no?) il modello che sembra essere proposto è quello chiamato platinum che altro non è che l’ennesima sfumatura di contratto trasformativo.
Ma se è così, si chiede Peter Suber, perché non chiamarlo con il suo nome invece che girarci intorno? Perché fare passare per qualcosa di nuovo una prassi ormai in atto da un decennio e fortemente messa in discussione?
Se ci si aspettava una qualche novità sul fronte dell’editoria commerciale non viene certamente dalla RSC. I contratti trasformativi continuano a rappresentare un’ottima fonte di guadagno. Almeno finché le istituzioni saranno disponibili a pagarli.